Un libro da leggere!

Foto della X° puntata.

X° puntata "Io e l'Africa o l'Africa ed io?"

X° puntata

 

Arriviamo nella casa di Mathias, ci togliamo le scarpe per entrare, e subito i miei occhi sono investiti da colori accesi messi sulle pareti e due divani di fronte arredano il piccolo salone che anticipa un tavolo per mangiare ed un minuscolo angolo per cucinare. Ci presentiamo al fratello, che lavora in città e che per l’occasione si è preso un giorno di riposo. Ci sono anche tre ragazze, di cui una giovane che si chiama Regina, indossano tutte il classico vestito Africano multicolore che si perde nei colori della casa.

Mathias lascia la carne alle ragazze e poi ci invita ad andare al bar per un aperitivo. Rimettiamo le ciabatte e prendiamo una stradina laterale che scende verso non so dove, ma che poi conduce ad uno spiazzo abbastanza ampio, dove ai lati ci sono tavoli e sedie accatastate, segno che non c’è molta frequenza. Subito si allestisce un tavolo, no due, anzi è meglio metterne tre e poi sedie, tutte scompagnate naturalmente.

Altre presentazioni, altre strette di mani e baci…sipurebaci! Loro ci vedono proprio come degli amici già consolidati, amici che sono venuti da lontano per stare una giornata nel loro Villaggio.

Un bel fiume di birra ha iniziato a scendere giù per lo stomaco. Una birra ghiacciata, sempre la stessa per me ossia la Kilimangiaro bevuta esclusivamente al bicchiere di vetro, mentre tutti gli altri direttamente dalla bottiglia. Mille risate ormai ci accompagnano seduti a questo tavolo ricoperto da un milionetrecentocinquantadue mosche, che instancabili continuano a posarsi in ogni dove. Ancora un altro giro di birra e di mangiare naturalmente non se parla. Ammazza questi Africani bevono più dei Tedeschi! Il caldo, la pioggia, l’umidità, le mosche, la polvere, la birra hanno creato un alone di abbandono quasi totale, e quindi alla quarta bottiglia di birra a digiuno ci fermiamo, ed iniziamo a salutare. Iniziamo a salutare. Ancora abbracci e poi fotografie, prima con gli occhiali e poi senza. Una la vorrei con il bianco qui tra noi e poi una con i neri in mezzo. Ancora saluti. Ancora foto. Ancora birra.

Torniamo verso la Casa di Mathias, perché il pranzo è pronto, anche se ormai si dovrebbe pensare quasi alla cena. Paesechevaiusanzachetrovi. Proprio un bel profumo arriva da quella minuscola cucina, le tre donne hanno davvero lavorato sodo e con amore soprattutto. La tavola è piena di ogni cosa. Riso bianco. Riso e carne. Platani con cipolla e pomodoro. Carne e cipolla. Carne alla griglia. Cavolo ma questi avranno speso un sacco di soldi per preparare un pranzo del genere. Ci guardiamo avendo ancora conferma dell’importanza che hanno dato alla nostra visita. In questi Villaggi non sono abituati a preparare certi pranzi, a meno che non ci sia veramente una festa importante, un matrimonio, una ricorrenza degna di tanto ben di Dio. Attorno al tavolo solo noi uomini, mentre le donne sono in piedi che controllano se manca qualcosa. Chiediamo che anche loro si seggano al tavolo con noi e dopo varie occhiate prendono degli sgabelli occupando gli angoli del tavolo.

Il capofamiglia si alza in piedi e invita tutti ad un segno della croce ringraziando il cibo che oggi è sulla tavola e della gradita visita degli amici Muzungu!!!

È strano vedere una tavola Africana apparecchiata con le posate ed i tovaglioli…viene quasi da ridere, e allora diciamo che non ce né bisogno e così le facciamo togliere.

Il cibo è stato cucinato proprio a regola d’arte è tutto veramente buono e senza complimenti prendiamo le pietanze per la seconda e la terza volta. I platani con la cipolla e pomodoro sono eccezionali, per non parlare del riso con la carne e ci sta pure la polenta che fa un po’ gomma nel metterla tra i denti…ma ci mangiamo anche quella. È chiaro che di bicchieri a tavola non se ne parla, anche perché qui l’acqua non esiste e allora si mangia senza bere. Leo vorrebbe un bicchiere d’acqua e mi chiede cosa ne penso…io molto tranquillamente dico che se gli chiede l’acqua loro sicuramente ne prenderanno dal solito secchio, lo stesso secchio…quello di sempre, quello per tutto. Se vuoi accomodati Leo…bevi pure che poi ti portiamo ad uno di questi attrezzatissimi ospedali che ci sono qui nella zona. Ridiamo un po’ e il cibo viene ingoiato senza liquido, ma con un gusto che solo Dio sa…mammamiachepranzo!!!

Ci si alza dalla tavola non prima di ringraziare il buon Dio e noi aggiungiamo un grazie unico alle tre ragazze che lo hanno preparato.

Ci abbandoniamo sui due divani, siamo senza scarpe, i piedi percepiscono tutta l’energia che la terra sa dare, mentre io chiedo di andar in bagno. Chiedo di andare in bagno più per curiosità che per altro. Voglio vedere come è un bagno in una Casa Africana. Apro la porta e rido, son fermo sull’uscio, per terra è bagnato, il vaso è quello alla turca, al lato c’è una brocca che dovrebbe servire da sciacquone, e poi un paio di scarpe bianche numero trentasette circa da donna. Certo non posso entrare scalzo, e allora mentre continuo a ridere mi infilo per quello che possono entrarmi le scarpette da cenerentola. Mi posiziono per fare la pipi e rido, rido come un matto, proprio come un matto e allora mi scatto anche una foto.

È pomeriggio inoltrato e tutti quanti siamo finiti ancora una volta in pasto alle mosche. Sono molto più agguerrite di quando siamo arrivati, forse perché ora sentono la nostra pelle più saporita visto il pranzo che abbiamo consumato. Siamo ancora seduti sulle sedie scompagnate del bar e giri di birra fredda vanno che è una bellezza, ma a noi ci aspetta tutto il viaggio di ritorno. Maccheproblemacè!!! Vi accompagniamo noi con la macchina. Cazzo questa non ci voleva. Si inizia una trattativa per convincerli che andiamo tranquillamente con il Daladala, ma non c’è verso, questi Africani non cambiano idea. Dopo un po’ di tempo ecco che arriva una macchina bianca…haleruotesgonfie…quindi riparte su queste strade fatte di polvere per far ritorno dopo un tempo indeterminato con le ruote a posto. Sappiamo bene quanto costa la benzina qui in Tanzania e quanta disponibilità hanno loro. Cerchiamo in tutti i modi di farci accompagnare sino alla fermata del bus macchè, niente si va almeno sino a Tegeta (sileggeTegheta).

Torniamo un attimo ai saluti. Intorno a noi un bel numero di persone che ci abbracciano, siamo invitati quando vogliamo, la loro Casa è la nostra Casa… e lo abbiamo visto.

Non è facile staccarsi da certe emozioni e così ci infiliamo nel sedile posteriore tutti e tre, aria condizionata spenta, altrimenti moriamo e finestrini abbassati. Si parte, con un bel movimento spacca-schiena, queste strade son proprio una mano santa. Prima avevo parlato dell’alternativa alla strada principale, a quella striscia d’asfalto che taglia in due l’intero Stato della Tanzania, ecco proprio l’alternativa ossia la foresta.

Amici miei, gli occhi oggi hanno una fortuna che se la ricorderanno per un bel po’, non capita certo tutti i giorni di imboccare una lingua di polvere rossa, tra alte palme e case di ogni tipo. Tutto intorno solo vegetazione e ragazzi che camminano a piedi: camion che sfrecciano nel senso contrario, mentre carretti carichi di non so cosa vengono spinti a fatica da braccia e gambe sempre troppo magre. Un bellezza da imprimere nella carne, con una musica che scava nell’abitacolo di questa grande e scomoda macchina. Si continua a sobbalzare, i reni hanno un bel lavoro oggi, tra la birra e le buche sono messi a dura prova ed una sosta liberatoria ci sta proprio bene.  

 

 

Posso parlare anche io!!! Sono giorni che parli e scrivi senza degnarti di interpellarmi, di sentire come sto e se magari ho bisogno di qualcosa.

Allora parlo io…finalmente!!!

In tutto questo tempo ho solo ascoltato. E certo che questa Africa ti deve piacere proprio un bel po’! Non hai mai tentennato e sento il tuo cuore libero da ogni morsa, da ogni pensiero. A volte penso al nostro connubio a come ci dobbiamo scindere per capire determinate faccende, a quanto male ci facciamo l’uno contro l’altro pur di raggiungere un po’ di serenità, senza pensare che non si può fare una vita separata e che la testa ed il cuore sono racchiusi nello stesso involucro. Al momento non ho nulla da criticare o da riprendere, ma già so che non durerà molto…anzi non durerai molto…

Foto della IX° puntata.

IX° puntata "Io e l'Africa o l'Africa ed io?"

Ci provo: immaginate una striscia d’asfalto che taglia di netto un’intera nazione, unica strada, unica via d’uscita, unica fuga…l’alternativa quando è possibile la vegetazione. Ai lati dell’asfalto solo terra e polvere rossa e lì, proprio li si svolge tutta la vita delle persone che abitano questa parte del mondo. C’è di tutto, ogni attività, da quelle alimentari, a quelle di arredamento, dalla costruzione di mattoni per le nuove case, ai mercati. E poi migliaia di uomini che girano, si spostano, chiedono, spingono pur di ottenere un qualcosa che dia un sostegno allo stomaco. Immaginate che su questa unica strada tutti corrono ma non a piedi, ma con moto, macchine, bagiagi, daladala, camion, tir, taxi, ogni giorno perde la vita qualcuno che viene investito, soprattutto chi si sposta in bici. La confusione ha dei livelli impensabili, i clacson sparano suoni continui e per loro tutto è normale, continuano ad ascoltare musica, a fumare. Questo è un piccolo spaccato della unica strada che taglia di netto la Tanzania.

 

Ha smesso di piovere ed il caldo ha aumentato la sua forza, ma nel frattempo siamo arrivati a Tegeta (si legge Tegheta) dove c’è uno dei mercati più grandi e dove il numero delle persone è fuori controllo.

Faccio un paragone: potrebbe essere il nostro PortaPortese moltiplicato per dieci volte, ma in uno spazio molto più piccolo.

Cazzo vendono di tutto, scendiamo e ci lasciamo trascinare dalla confusione, compriamo del succo di mango da un tipo strano che parla come una mitraglia e vuole molti più scellini di quanto realmente costa. Lasciamo i succhi sul suo banco di fortuna, ma ci corre dietro e finalmente li paghiamo per il loro vero prezzo. BianchisiStronzino!!!

Ci mettiamo alla ricerca del mezzo per arrivare alla seconda tappa che è al grande incrocio con la Mandelaway, ci sono decine di Daladala e tutti vogliono che saliamo sul proprio anche se vanno da tutta altra parte. Eccolo il nostro ha scritto Tegeta-Kmara sul cofano anteriore, con noi sale anche un ragazzo del Kongo che parla Francese, studia qui all’Università di Dar e così inizia un dialogo con lui, ma poco dopo scende e lascia il suo numero di cellulare a Giacomo, con la promessa di chiamarlo.

Devo dire che sono già parecchi giri di lancette che siamo andati via dal Villaggio e non abbiamo fatto nemmeno metà strada, e non abbiamo incontrato nemmeno un bianco, e che nessuno ancora ci ha rotto i coglioni.

Che spettacolo l’Africa!!!

 

Il fatto di non vedere la pelle bianca è una gran bella emozione. La nostra vita si svolge sempre tra i bianchi ed i neri sono molto pochi, anche se con i grandi spostamenti ci siamo mischiati abbastanza. Ma qui è tutta un’altra storia, qui guardi intorno e ci solo neri, tutto è nero e quindi arrivi al punto che non hai più la percezione del colore della propria pelle e allora diventa anomalo essere un bianco tra i neri.

Maquantomipiace. Amemipiace!

 

Con una fila interminabile verso il semaforo del grande incrocio scendiamo, il cielo non promette nulla di buono. Attraversiamo la strada ma di Daladala nemmeno l’ombra, se vuoi ci sono mille bancarelle che vendono vestiti usati e scarpe, tutto rigorosamente sporco di polvere rossa. Ci sono anche dei venditori di film in dvd dubleface, perché dubleface?

Spiego: nelle mani hanno tre dvd di film normali, ma poi girano la mano e dietro ci sono le copertine di film porno, di donne rigorosamente bianche. Geniali!!!

Decidiamo per contrattare con un Bagiagi ci chiede settemila scellini, ma riusciamo a chiudere per cinquemila. A questo punto si deve sapere che i conducenti di questi Ape sono tutti dei folli, hanno una velocità supersonica e passano dappertutto, per esempio sui marciapiedi, o si infilano dentro strade sterrate, e se poi a salire sono tre poveri disgraziati bianchi…allorasonodolori.

Finalmente vediamo Kmara. Vediamo??? Che vuol dire: vediamo! Non c’è niente da vedere, siamo esattamente nella foresta, appena scendiamo dal Bagiagi tutti ci guardano, tutti ridono, e sono sicuro che si domandano: ma che sono venuti a fare qui? Oppure: ma di che colore sono questi? Piove a dirotto, noi siamo un po’ come loro, non ci curiamo del tempo, siamo in ciabatte, sperduti in mezzo all’Africa più Nera e siamo dei bianchi in mezzo a tutti neri.

Se qui ci rapiscono…ma quando ci ritrovate!!!

Arriva Mathias, ha un sorriso che quasi gli apre tutta la faccia. Non ci crede che abbiamo fatto un viaggio così lungo per arrivare al suo Villaggio.

Arriva Mathias, è felice come una Pasqua e saluta tutti, ma non a noi, no, no, a tutti gli altri che lo vedono con dei bianchi.

Arriva Mathias, che parla solo Inglese, ma il fatto che lui conosca dei bianchi e che sono arrivati per stare a casa sua, lo porta al settimo cielo.

Grande evento a Kmara: tre bianchi a pranzo nella casa di Mathias.

Ma chi è questo Mathias?

 

 

Allora Mathias è un ragazzo che un giorno è venuto a trovare il Baba al Villaggio. Quel giorno c’era anche Giacomo e così la fusione è stata spontanea, e durante i vari discorsi Mathias ha invitato Giacomo nel suo Villaggio.

Certo che il Nero non avrebbe mai creduto che un giorno così, magari nemmeno nello stesso anno, squillasse il suo telefono avvisandolo che i Bianchi scendevano sino alla sua Casa. Eh si a volte capita anche questo, stando migliaia di chilometri lontano dalle proprie abitudini e conoscenze accade proprio questo…sta attento e leggi le prossime diecimila righe!!!

 

 

Abbiamo detto che il tempo non è proprio dei migliori qui in Africa in questo periodo e se ci mettiamo pure che lasciata la strada principale qui è tutto sterrato…bè allora siamo a cavallo…scherzo, siamoapiediiiii.

Ci presentiamo ed iniziamo a camminare fermandoci subito da un tizio che cuoce pezzi di carne di non so quale animale. Mathias ne prende alcuni pezzi da portare a Casa, sistemati rigorosamente sempre nella solita bustina nera di plastica. Qui le buste sono tutte di plastica e tutte nere…forse per rimanere intonati con il colore della loro pelle…imisteridellavita.

Attraversiamo la strada, sempre con molta difficoltà perché qui non si fermano, ed è sempre un’impresa raggiungere il lato opposto. Ma per questa volta è andata bene, ci immergiamo nuovamente nel fango, entrando così nel vivo di questo Villaggio chiamato Kmara. Un mercato lungo la strada vende ogni cosa e persone che camminano sotto enormi sacchi di juta, pieni, anzi super pieni di nonsochecosa. Ci chiamano continuamente per venderci qualcosa, qualcosa così anche se non serve, mentre Mathias saluta e parla in Swahili indicando questi Bianchi venuti a trovare proprio Lui. Dopo un bel po’ finisce il mercato e finalmente Kmara, con le sue case, capanne, negozi e ragazzini che sbucano da tutte le parti.

Ecco il senso dell’accoglienza. Ecco il senso di chi ha veramente piacere ad avere degli ospiti in Casa. Ecco il senso del sorriso. Ecco il senso di chi ti fa capire che sei anche a Casa tua. Ecco il senso di toccare con mano la vita dell’Africa. Ecco il senso della vita.

Persone che si alzano per salutarci. Persone che escono dalle Case per salutarci. Persone che interrompono il lavoro per salutarci. Persone che portano la divisa lasciano il posto per salutarci.

Noi senza nessun timore salutiamo e stringiamo mani a destraemanca. E Mathias è alle stelle…si parlerà per molto tempo di questo evento.

Kmara è una striscia di terra che si inoltra nella foresta, non ci sono strade asfaltate, alberi e piante invadono ogni angolo, ma anche case, poche in muratura, molte in legno e materiali di fortuna. Come al solito anche qui una miriade di persone che camminano continuamente, non riesco ad immaginare la loro direzione, ma continuano a camminare.

Foto della VIII° puntata.

VIII° puntata "Io e l'Africa o L'Africa ed io?"

Giacomo mi propone di andare tra qualche giorno a trovare un amico che vive in un paese non troppo lontano, ma nemmeno troppo vicino. Accetto volentieri e con noi si aggiunge anche Leo. Ma questo succederà tra un po’ di giorni…adessosidevelavorare.

Mi dedico a spaccare un pò di legna, una cosa leggera…così per iniziare. Adesso la domanda è: ma in Africa con trentacinque gradi a cosa serve la legna? La risposta è: ci sono i bambini della scuola che hanno le cucine a legna ed ogni giorno a pranzo sono circa quattrocento ed il riso ci mette sempre troppo a cuocersi e così serve la legna…molta legna…troppa legna!!! Vadoaspaccarelalegna.

Al lavoro ci trovo Angelo un bergamasco di quelli veraci con i suoi settantanni portati sulle spalle con grande tranquillità e che una volta all’anno parte da casa per venire qui in Tanzania a spaccare la legna per circa cinquanta giorni. Mi presento, il suo sorriso mi colpisce è sudato sino all’invero simile, ha una mazza di troppi chili che spingono cugni con forza nel cuore del tronco. Mi spiega dove sono gli attrezzi. Io mi guardo intorno e vedo una gran confusione di legni buttati alla rinfusa e così inizio a riordinare un po’. E cosi sono trascorse un po’ di notti prima di vedere lo spazio un po’ in ordine.

A proposito delle notti…a parte i dolori delle gambe e delle braccia per il lavoro la sera è proprio un bel vivere qui. Tutti siamo in tondo chi su piccole panchine di ferro, chi su sedie e chi a terra, di scarpe non se ne parla siamo tutti rigorosamente scalzi, ci sono le zanzare ma questa come ho già detto è una coincidenza da vivere sino in fondo. E così siamo lì a raccontarci mille storie diverse, con accenti diversi, con località diverse. Dalla Capitale solo io. C’è anche Marida da Brescia con lei si parla bene ha una buona calma e tra un po’ partirà per il Monzambico. Anche lei da sola…che spettacolo di persone!!!

Ho diviso tutti i tipi di legna e così inizio con una grossa sega elettrica da banco a fare tronchetti da circa trenta centimetri. Sono sotto al sole, la maglia ormai è impregnata di sudore e segatura sputata dal disco dentato. Mi guardo e sono assalito da mille animali, tutti diversi, tutti colorati che hanno tutte le ragioni per farlo visto che gli sto rompendo i coglioni. Le mie pizze sul corpo fanno ritmo con i colpi precisi di Angelo che manda ancora più giù i cugni sino a far scrocchiare i grandi tronchi. Con me c’è Leo che carica i tronchetti nella carriola e li sistema dietro al forno ormai pieno zeppo di legna.

Domani si parte andremo a far visita a Matthias nel paese di Kmara a circa settanta chilometri. Prenderemo il bus pubblico al mattino presto.

 

Un piccolo appunto: prendere il bus pubblico qui in questa zona non è proprio una passeggiata. Il bus è un mezzoapezzi, i passeggeri sono sempre dieci volte il numero consentito dalla sua capienza, i bianchi non esistono, e quindi si hanno gli occhi puntati per tutto il viaggio, con persone che parlanoeguardano, guardanoeparlano e poi ridono e poi cercano di sapere qualcosa, naturalmente in lingua Swahili. Il biglietto per noi bianchi e quindi stranieri e quindi immigrati lo paghiamo quattrocento scellini. Se sei fortunato e poi non so quanto, ti metti seduto, altrimenti sei compresso in piedi con una moltitudine di colori e sudori che invadono completamente la pelle. Il bus è adibito anche a trasporto merci e questo naturalmente non tiene conto di quante persone ci sono già a bordo…se c’è la signora che deve caricare sino al prossimo paese quindici cartoni di non so cosa…ilproblemanonesiste…si carica, non si sa come ma si carica. Dovetrovanoilpostosololororiesconoacapirlo.

 

Il tempo non è dei migliori in questo periodo, delle forti piogge alzano notevolmente l’umidità e la presenza di assatanate zanzare senza scrupoli, pronte a tutto, zanzare ergastolane, pluriomicide, hanno più vittime loro sulla coscienza che solo Dio lo sa. Ma tutto questo non ferma i nostri discorsi al chiarore della luna un po’ offuscata, con una musica italiana di Lucio Battisti che esce da un piccolissimo apparecchio, ma capace di farci volare oltre la misura consentita da MadreNatura.

Il cerchio comprende una varietà di personaggi, si passa dai dottori cardiologi, alle infermiere, da volontari a laureati in teologia come il nostro amico Ivan, oppure passare per Andrea della Protezione Civile con le pagine del suo passaporto bersagliate di lasciapassare nei luoghi più devastati del Pianeta. Anche Alice è un bel tipo, e Marida e poi ManuelMaraStefania i residenti…insomma proprio un bel gruppo.

I discorsi spaziano da un punto all’altro dell’immaginazione, con approfondimenti sempre più intensi.

Scusate mi sono dimenticato di menzionare Alessandro il Toscano che mi chiama Zio e poi Leo detto anche Zeus per la sua bellezza sia estetica che interiore. Si lo sappiamo che c’è anche il preparatore infaticabile di caffè, e chi se non lui…LoSvizzero…detto Giacomo.

Ormai siamo proprio abbandonati, ci perdiamo ad ascoltare e fare giochi e indovinare indovinelli impossibili che Alessandro sforna come il Chapati, lasciando i nostri occhi persi nel cielo fitto di nuvole che corrono veloci chissà per andare dove, a cercare le risposte. Sdraiati a terra con le solite formiche che non vanno mai a dormire, lavorano sempre ventiquattrore al giorno, e così salgono sulle gambe, sulle braccia, macchissenefrega nemmeno le sentiamo tanto siamo senza tempo, il vento soffia forte, il caldo umido si appiccica alla pelle e le gocce di sudore sono ormai una costante dietro la schiena, ma tutto questo mipiace, amemipiace, il cervello e l’anima sono in simbiosi e niente può fare paura e nulla può dare fastidio. È qui dove l’Essere Umano si avvicina di più alle sue Radici, alla sua Provenienza, alla Natura.

Si possono fare mille ipotesi, mille congiure, inventarsi: razzeariane, classisociali, distinzionidipotere, ma non possiamo esimerci dal fatto che il centro di tutto quanto ora esiste è partito da questa Terra. Dalla TerradelleTerre.

È tardi andiamo a dormire, qui la sveglia è sempre alle sei, e si deve preparare la colazione per tutti, apparecchiare la tavola, fare il caffè ed il tè e poi lavare, spazzare e mettere ogni cosa al suo posto.

Buonanotte.

La colazione qui al Villaggio è sempre un bel momento, ci si aspetta tutti per iniziare e con i ritardatari si fa un extra, si entra in camera e si buttano giù dal letto. Il bello è proprio quello di potersi perdere nella moltitudine della diversità tra ogni Essere Umano. Ci sono persone che sono al tavolo ma con la mente sono ancora nel letto, e così non toccano cibo, si guardano intorno senza capire esattamente dove si trovano. Alcuni invece hanno bisogno di mangiare subito perché devono poi rispettare i vari riti, come quello della sigaretta o di andare in bagno, altri che non spiccicano parola, ma mangiano e chi non smette più di parlare anche alle sei del mattino. Insomma proprio un bel momento quello della colazione qui al Villaggio.

Piove, il cielo non promette nulla di buono, e così io, Giacomo e Leo in ciabatte e maglietta e pantaloncini, ci dirigiamo verso la fermata del bus, che poi sarebbe il capolinea, perché parte proprio da Mbweni per arrivare a Tegeta prima di un lungo, lunghissimo itinerario.

Vado a raccontare.

Siamo passati al piccolo spaccio dell’ospedale a prendere dei Chapati e succo di Mango da portarci dietro, ma non resistiamo a lungo, l’odore di questo tipo di pane ci spinge ad infilare le mani nel sacchetto rigorosamente di plastica e prendere dei pezzi da gustare subito mentre aspettiamo il bus che non arriva e allora Giacomo inizia una contrattazione con un Bagiagi, un ape adibito a taxi, ma vuole troppi soldi e cosi rimaniamo ad aspettare e dividere i Chapati con un gruppo di bambini che con occhi grandi così ci guardano. Non capisco cosa dicono, ma parlano continuamente mentre si mangiano anche loro il pezzo di pane, e pretendono delle risposte…maloswahilinonlosappiamo!

Si sale sul bus, una musica a tutto volume non permette nemmeno di parlare, prendiamo posto dietro e aspettiamo di partire. In questo angolo di Africa non sono certo abituati a vedere dei bianchi che prendono i mezzi pubblici. Quei pochi che ci sono si spostano sempre in Daladala privati o in taxi. Il Dalala pubblico non è un mezzo consigliato, perché qui nessuno ti capisce ed anche il viaggio di pochi chilometri può divenire un tragitto interminabile.

Noi dobbiamo prenderne tre di Daladala…auguri!!!

Ha ripreso a cadere acqua dal cielo, l’umidità è mescolata allo smog che impregna l’unica strada che porta sia versosud che versonord della Tanzania. Vorrei descrivere un po’ di cosa succede su una strada Africana…macomefaccio?

VII° puntata "Io e l'Africa o l'Africa ed io?"

Clicca sulla foto per ingrandire
Clicca sulla foto per ingrandire

Mi sono spogliato direttamente sull’aereo, questa volta l’Africa mi deve prendere con tutto il suo calore, non ci devono essere filtri. Maglietta a mezzemaniche, foulard, jeans e scarpe da ginnastica…quelle rosse, quelle di ClaudioeLuciano regalate in occasione del mio primo viaggio nella TerradelleTerre.

Qui il caldo lo prendi immediatamente, non devi aspettare di uscire dall’aeroporto, ma appena si mette il naso fuori dall’aereo qualcosa t’invade, ogni millimetro del corpo è in suo possesso…ma prima di parlare di questo devo raccontare il passaggio o i vari passaggi per uscire fuori.

Ho il passaporto già con il visto e l’uomo in divisa sbarra l’uscita che porta verso la dogana, mi guardo attorno…porcamiseria non c’è nemmeno un bianco…nemmeno uno. Il tipo controlla e ricontrolla il documento e poi sfoglia le piccole pagine, soffermandosi sui vari visti che ci sono. Alla fine passo e faccio sosta per riempire il foglio…tuttoininglese dove io scrivo un po’ a caso, che serve a lasciare un qualcosa che possa rintracciare la mia persona. Sono ad un punto cruciale…LaDogana…metto a turno le mie dita sopra una luce e le impronte digitali vengono registrate, il tipo che non sorride mai, forse è proprio la postazione, perché ogni volta che vengo trovo solo facce serie, mi parla sottovoce, io non capisco niente, ma lui continua a parlare.

Forse vuole sapere dove vado.

Lo accontento immediatamente. I am tourist in the house my friend, in Mbweni hospital in Village of the joy…tièbeccaquestoeportaacasa.

Lui continua a parlare, io lo guardo…pensando dentro la mia testa: ora ti posso solo sorridere.

Lui mi guarda, mette il timbro ed infila il passaporto sotto il vetro.

Finalmente ho gli zaini sulle spalle, ma per poco, perché sono a quello che dovrebbe essere l’ultimo controllo prima di poter essere invaso dall’ondata di caldo che aspetta fuori la porta scorrevole.

Tutto passa sotto una macchina e le mie cose come per incanto vengono trasmesse su di un monitor interamente nude, ogni bustina, ogni contenitore è aperto e gli occhi del tipo di cui non ricordo il volto sbirciano come la luce di una piccola torcia portatile, non trovando nulla di sospetto tranne un coso strano di metallo. Il macchinario si blocca, ingrandisce l’immagine, anche questo mi guarda, sicuramente si aspetta una spiegazione, che puntualmente non arriva, poi riguarda con più attenzione il monitor mentre il rullo torna a girare, sputando fuori i miei bagagli.

La porta a vetri si spalanca davanti a me…il grande sorriso di Giacomo ed un altro ragazzo mi catturano senza darmi il tempo per respirare…ci abbracciamo, ci guardiamo e ci riabbracciamo di nuovo.

Provo a respirare, il caldo è esagerato, il cielo è super coperto di nuvole, il vento spazzola ogni cosa lasciata a terra…ediosonoinAfrica.

Ah l’altro ragazzo è Alessandro, Toscano, di Empoli. È altro quasi due metri.

 

 

Ti sento davvero felice, mi accorgo che non pensi minimamente ai tuoi battiti, alle tue ansie, al fatto di voler tornare indietro e raggiungere le tue radici.

Ti sento davvero felice.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                   TERRA AFRICANA



 

 

 

 

 

 

 

 

Non ci credo…non ci credo…non ci credo. Noncicredononcicredononcicredo.

Ma si, sono in Africa, in questo taxi con i finestrini aperti e l’aria satura di gas entra violentemente nei miei polmoni, mentre ci raccontiamo episodi e prendo confidenza con Alessandro di appena vent’anni che sta facendo una nuova esperienza di alcuni mesi nel Villaggio.

Con Giacomo…bè con LoSvizzero è una garanzia, è un ritrovarsi, vederlo sorridere è una bella emozione, sentirlo parlare aiuta l’anima nella mistica concentrazione. Il loro abbigliamento è di quelli che si possono definire “Dell’Abbandono” e questo mi porta a capire come sarà questo mio passaggio al Villaggio, Alessandro ha solo gli indumenti che servono e Giacomo lo segue con la solita bandana che gli copre la testa, i loro piedi sono piuttosto neri, questo significa che camminano scalzi. Equantomipiacetuttoquesto?.

La cosa che mi dicono con più frequenza è: Maurizio fa veramente troppo caldo. Ma io questo per ora non lo sento, sembra di stare nel luogo giusto, al momento giusto, dove quello che serve all’essere umano è a portata di mano, senza pagare, senza lavorare…è lì lo puoi prendere…è tuo. Eccocomemisento!

La macchina procede tra clacson, camion fermi senza motivo in seconda fila e dei vigili al grande incrocio che cercano con palese fatica a far rispettare alcuni codici stradali. Maamenonmenefreganiente.

Non c’è fretta, non c’è tempo, si respira aria Africana e tutto perde consistenza, tutto inizia a scivolare verso quella direzione chiamata: Vita.

Intanto mi continuano a parlare, illuminandomi chi c’è al Villaggio ai tipi più strani, stravanti, a quelli posati ed ai dottori di un ospedale di Gallipoli. Chiedo se il mio letto è occupato. Mi dicono che ci dorme un dottore, che è in partenza per un altro Villaggio e si assenterà per qualche giorno.

La prima sosta è al mercato, andiamo a trovare il nostro amico “Marley”. Quando ci vede ci abbraccia ed inizia a dire: “Amico devi andare piano, piano come tartaruga, lento come tartaruga, no veloce come giaguaro. La tartaruga arriva sempre…giaguaro mai. Piano piano amico.”

Questo è “Marley” una vecchia conoscenza, un tipo straordinario, un cascata di capelli solo dietro e sopra niente, lascia ai ragazzi un presente e riprendiamo il viaggio verso il Villaggio.

Lasciamo la strada principale e con mia sorpresa mi accorgo che stanno asfaltando la strada, confusione aggiunta ad altra confusione. Lavorano tutti: bambini, donne, vecchi, non si capisce il ruolo, ma sono tutti lì sulla strada, magari solo per spazzare cumuli di polvere che alimentano altra polvere. Arriviamo a Mbweni la strada torna sterrata, dove tutto è una buca e bambini ci salutano venendo vicino al taxi, e mentre sorridono noi proseguiamo oltre sino ad arrivare al Villaggio e immediatamente faccio fermare la macchina, scendo e vado a salutare i miei amici Masai che appena mi vedono si lanciano in un forte e sentito abbraccio. Li lascio con un appuntamento per l’indomani.

Sono proprio di fronte alla Grande Casa, scendo e faccio un enorme respiro, mi chino e sfioro la terra rossa vicino ai miei piedi, la sento come sempre carica di energia, pronta a trasmettere sensazioni, quelle sensazioni che solo l’Africa sa dare.

Quasi non riesco a focalizzare tutto, mentre i ragazzi mi prendono gli zaini, e Mara con Stefania mi vengono incontro belle e sorridenti, piene d’Africa. Ci abbracciamo, siamo felici di rivederci, e tutto scorre senza il tempo.

Ora sono senza tempo.

Respiro a pieni polmoni tutto quello che il Villaggio riesce a trasmettermi, inizio a camminare ed i piedi calpestano una terra ricca di amore, di vita. Tante novità ci sono da far entrare dentro l’anima, una per esempio è una nuova costruzione per fare delle feste insieme ai ragazzi della scuola e pensare che ancora ascolto le voci di una partita a pallavolo di qualche anno fa anche se ormai il campo è sotto la nuova sala.

Vado a salutare Manuel che ha già iniziato i lavori per un nuovo e più grande pollaio, insieme a lui c’è Leo un ragazzo giovanissimo di Milano. Un bel tipo!!!

Wow ma c’è da lavorare e già vedo come sarà questa permanenza al Villaggio, molto diversa dalle altre, non vedo nessuno con protezioni per il sole, con vestiti particolari, sono quasi tutti senza scarpe e camminano nelle erbe alte senza problemi, un po’ abbandonati all’assenza del tempo. Mi sento a casa. Mi sento a mio agio.

Raggiungo l’ostello non disfo gli zaini tranne dalle cose alimentari che ho portato, mi spoglio, sono all’istante anche io senza scarpe…lerimetteròalrientro. In Italia però!!!

Conosco anche Alice una ragazza di Brescello che ha appena terminato una storia d’amore e così per liberarsi la testa ha lasciato il lavoro, la famiglia ed è partita da sola prima in Kenia e poi qui in Tanzania, sempre facendo dei lavori nei villaggi. È appassionata di fotografia e ne ha una cazzuta sempre al collo.

Lo dicevo che questa era la coincidenza appropriata per la mia testa, si esce da soli per il paese e si respira un’aria di accoglienza. Tutti ci salutano quando al mattino andiamo a fare la spesa nelle poche baracche che vendono un po’ di tutto. Queste barriere sono cadute anche grazie allo Svizzero che con il suo inglese perfetto riesce ad infilarsi in dialoghi impossibili, con tipi effervescenti e decine di bambini mezzi nudi che ci seguono per centinaia di metri. Ma poi quando arriva la sera e tutto si fa buio, quando le stelle fanno a gara con la luna per chi riesce a fare più luce, beh allora sale la magia Africana, quell’atmosfera che non ti fa capire più niente e si passa dalla tisanaallabirra così in un attimo mentre le lancette non hanno nessun peso, ognuno è talmente libero di fare quello che vuole, anche se il nuovo giorno sarà sicuramente pieno di lavoro.

VI° "Io e l'Africa o l'Africa ed io?"

Mi alzo per muovermi un po’ e con l’occasione vado a lavarmi i denti, ho tutto il kit di sopravvivenza che si trova nella tasca del sedile: calzini, mascherina, spazzolinoedentifricio, tappi e caramelle. Scavalco il Filippino, naturalmente svegliandolo, ma non s’incazza, anzi mi molla un bel sorriso, come dire: stronzo proprio ora che avevo trovato la giusta posizione per riposare un po’, tu devi alzarti…io oltrepasso tutto questo e mi prendo il sorriso, avviandomi verso la cabina di pilotaggio.

Fuori non si vede nulla, il buio toglie qualsiasi orientamento e continuiamo a stare sopra i diecimila metri di quota. Il Filippino dorme, l’Arabo gioca con il telefonino ed io sono inquieto, non riesco né a dormire, né stare fermo, mi vedo a tratti un film al computer che già avevo visto nel precedente viaggio…mammamia come sono abitudinario. Vado sui giochi, ma non trovo nulla d’interessante e così alla fine mi metto sulla pagina dedicata al viaggio, e mi accorgo che stiamo scendendo, tra poco metterò piede nella capitale del Qatar, dove il petrolio lo puoi bere come aperitivo. Personaggi con candidi vestiti spendono mille dollari al duty free così tanto per passare una mezz’ora. Eppure mi affascina, ogni volta che ci metto piede rimango sorpreso e mi perdo.

È notte fonda, ad accogliermi sono soprattutto i trentagradi, un caldo asfissiante, ma qui è tutto super climatizzato e non trovi nemmeno un angolo dove puoi sudare tranquillamente. L’aeroporto è in ottima forma, mille controlli anche qui, anche per metterti in fila sei controllato, e al metal detector non vogliono sentire ragioni ti devi s-p-o-g-l-i-a-r-e.

Non ho sonno per niente e la fila è abbastanza lunga, così quando arriva il mio turno da bravo ragazzo lascio tutte le mie cosine cadere nel vassoio…trannelacintura…tranne la cintura. Non mi va di toglierla, ma il tipo baffuto è troppo ligio al dovere, che nemmeno mi fa arrivare al metal detector.

Inizia a dirmi qualcosa che non capisco, indica la cintura e così io mi tolgo la felpa, continuando a far finta di non capire.

Baffetto Ali alza la voce ed io con una faccia da cazzo dico di non comprendere, ma successivamente gli sfodero un sorriso Durbans dicendo: ahlacinta…melopotevidiresubito. Sfilo la cinta e cosi sono obbligato ad aprire anche lo zaino per i vari controlli.

Mi guardo intorno e sono solo, tutti che guardano questo Italiano che per passare il tempo non vuole togliersi la cintura…macchiviconosce!

Io sto veramente sopra le nuvole, i pensieri viaggiano senza tempo e così passo trentaminutitrenta con occhi aperti a guardare tutti i paesi che da Doha si possono raggiungere. Sono immobile, poi apro lo zaino e prendo le cuffiette, sparandomi l’ultimo album di Jovanotti. Completamente isolato, mentre tutto ruota, ed io non sento altoparlanti, voci, musiche, tranne quella che al massimo del volume entra direttamente in me.

Inizio a camminare, infilandomi nella folla, guardando ogni faccia, ogni abito, ogni cultura e poi improvvisamente penso al bar giù in fondo dove con Dolores, Luisa, Claudio e Luciano durante un’attesa lunga sette ore abbiamo bevuto un gigantesco cappuccino schiumoso e giocato a carte, con Luciano che rubava sui punteggi. Mi dirigo in fondo e trovo il bar…lo stesso e rivedo lo stesso tavolo, immaginandomi nuovamente quella scena…rido e mi metto in fila per il megacappuccino.

Non mi piacciono le file. Non riesco a restare fermo impalato e così dopo pochi minuti esco dalla fila e vado in giro.

 

 

Sei senza recupero, ma ti rendi conto di quello che fai? Perché non hai tolto la cintura e perché ti devi mettere sempre nei casini, e se Baffetto Ali ti fermava, come mettevi la cosa, come riuscivi a districarti? Io proprio non riesco a capire ed il viaggio è appena iniziato…chissà nei giorni seguenti cosa succederà…occhio che tra un po’ aprono il gate per il volo e spegni quella musica, non riesci a sentire nemmeno me.

 

Vado in bagno, passando nella zona del ristorante, dove ci sono infinite diversità di cibo, dal cinese, all’arabo, allo statunitense, ed europeo. La gente mangia a tutte le ore, per esempio adesso non è ora di colazione nemmeno del pranzo e tantomeno della cena eppure i tavoli sono tutti occupati, si parla come fosse mezzogiorno, mentre io esco dal bagno con le mani profumate.

Compro una piccola bottiglia d’acqua e cammino, torno al duty free a prendere una cioccolata, ma una stanza con pareti di vetro chiama la mia attenzione…incredibile è la sala fumatori. Sono tutti chiusi lì dentro, tutti con la propria sigaretta accesa, alcuni con il pc davanti, altri nervosi perché forse il loro volo è già in partenza intenti a concentrare tutte le energie per aspirare in meno tempo possibile la mistura composta di nicotina, estratto di cacao, aromi vari, conservanti e tabacco. Guardo ma non mi soffermo attaccandomi alla bottiglietta d’acqua sempre troppo fredda per i miei gusti.

Comunque sia questo luogo mi piace, stimola i pensieri, ci sono bei colori e bella gente…un po’ strana, ma bella.

 

 

Hanno già chiamato il volo, il gate è aperto, smettila di fare il girovago e mettiti in fila.

Mi stai togliendo le forze, speriamo che almeno su questo tratto di viaggio riesci a dormire un po’, in maniera che anche io possa riposarmi. Al solo pensiero che mancano ancora un bel po’ di ore mi viene quasi da vomitare…vedi cosa puoi fare!!!

 

 

Tra non molto sarò in Kenia per uno scalo tecnico…tra non molto, quando il sole sarà già alto.

Non sono un appassionato di giochi al computer, ma vicino al mio sedile c’è un ragazzo ed una ragazza, forse Tedeschi, o chissà Americani, ma forse Russi…”i Russi, i Russi gli Americani, no lacrime non fermarti fino a domani” …non c’entra niente sono parole cantate da Lucio Dalla, che dopo aver preso whisky e coca cola come bevanda per accompagnare il pasto e che ha rovesciato sui miei pantaloni, creando un attimo di panico, perché quando si ha il tavolo aperto con tutti i vari cibi inscatolati sopra, non si ha molto spazio per muoversi o per schivare, e allora sei costretto a subire…evvai si viaggia con una puzza di liquore bella spalmata sui jeans…vabbè si continua e così mentre, durante e dopo si sono intrippati in uno di questi giochi cervellotici, lui che guarda lei, e lei che guarda lui, ed io che guardo tutti e due. All’inizio mi sono messo a guardare e poi a giocarci…non mi sono accorto di niente, tranne quando l’aereo ha sganciato i carrelli per l’atterraggio, che palle questi giochi ti fanno perdere il senso della vita, annientano qualunque ipotesi di pensiero, cazzo non ho visto nemmeno il sole nascente per questo nuovo giorno.

A volte ne rimango sorpreso anche io, di questi spazi così vuoti.

Nairobi. Sono a Nairobi, dall’aereo scendono quasi tutti e seduti rimaniamo una manciata di persone, forse una cinquantina di cui l’unico che ha la pelle di un colore diverso sono io.

Eh si, perché qui da Nairobi si arriva a Zanzibar e quei pochi bianchi che prima erano a bordo ora già pensano ai drink, ai lettini e spiagge deserte.

Decolliamo di nuovo, ora ho tutti e tre i sedili a mia disposizione e così mi avvicino all’oblò perdendomi nello stacco da terra e poi più in alto nella sensazione di vedere le cose, le case sempre più piccole, sino ad arrivare alle nuvole…eh si sono tra le nuvole.

Torno a viaggiare in mezzo a questa soffice sostanza, che architetta forme bizzarre da far perdere la testa. Gli occhi non hanno un controllo preciso, spostano continuamente la direzione e già penso che tra non molto metterò i piedi sulla TerradelleTerre. In Tanzania, a Dar es Salaam…adesso ci vuole ancora un po’ di musica. A farmi compagnia è sempre lui, quello che ascoltavo a Doha…il viaggiatore.

 

 

Nonhoparole…nonhoparole…nonhoparole!!!

Il tragitto si sta quasi concludendo e devo dire di essere sorpreso dalla tua consapevolezza e determinazione per giungere in questa lontana terra.

Forse tante spigolature in un essere umano non si toglieranno mai, ma con l’avanzare dell’età, si può sicuramente migliorare ed essere cosciente delle proprie azioni…allora dai, fammi vivere le tue emozioni non appena metterai i piedi a terra.

V puntata "io e l'Africa o l'Africa ed io?" (Con foto)

Clicca sulla foto per ingrandire
Clicca sulla foto per ingrandire

La notte è sempre troppo corta, o sempre troppo lunga dipende dagli stati d’animo che ci portiamo dentro e così io in questo caso apro già gli occhi come se fosse durata un attimo e tutto immediatamente appare diverso. La prima cosa che faccio porto gli zaini vicino la porta di casa, facendo questa azione è come se iniziassi a concretizzare una certa distanza.

Anto controlla ogni foglietto di carta, le date, i documenti ed io stranamente la lascio entrare dentro di me, lascio che ogni piccolo calore prenda un posto ben assegnato sulla mia pelle, in modo che poi tutto venga rilasciato lentamente come la sabbia in una clessidra.

Mi vesto con tutte le cosine che ho preparato ieri sera ed inizio a perdermi tra il caos di macchine, pullman, autobus e taxi dell’aeroporto…un forte abbraccio e occhi negli occhi è il saluto con mia moglie, aspetto che la sua macchina si allontani, un po’ sorrido, un po’ vorrei tornare indietro. Il grande zaino prende posto dietro la schiena, mentre le mani afferrano gli altri due, questo strazio per fortuna dura poco, prendo un carrello mi volto indietro per un attimo, faccio un grande respiro sorrido e capisco che la strada è quella davanti a me. Vado. Cammino. Il banco della compagnia “Qatarairways” è in fondo, ma non tra gli ultimi…è proprio l’ultimo e quindi ho avuto tutto lo spazio-tempo per gustarmi l’atmosfera di questo luogo di partenza, dove tutti sono assorti nei pensieri più insoliti. Questa distrazione però non mi fatto rendere conto che la ragazza al banco con gilet color porpora mi sorride esortandomi a fare un passo o due in avanti per poi poter salire sull’aereo.

Mille immagini, un milione di pensieri in quei due passi, ascolto il corpo che viene attraversato interamente da sensazioni continue e solo un enorme respiro, un bel sorriso mi fanno dire:

“Buongiornocomeva?”

 

 

Sai mi sembra di vivere il momento precedente a quando ti fai le analisi del sangue: parti sparato come se niente e nessuno ti facesse paura…epoiappenaseisullaporta…ecco questo mi sento di vivere chiuso qua dentro, mentre percepisco anche la più piccola emozione, con i battiti che scendono e salgono come una scala di note musicali. Mio caro amico, capisco ora tutto il tuo disagio, ma purtroppo devo fare il mio lavoro, affinché non si ripetano certi tuoi affrettati pensieri…manonsoancorasequestomiriuscirà.

Ma ora si deve proseguire, ed io ti sarò vicino…molto vicino!!!

 

 

E’ strana come sensazione: improvvisamente ho solo il piccolo zaino con dentro la mia casa, i miei agi e continuo a camminare.

Sono attratto dalle luci e dalla diversità delle persone.

Ascolto suoni e mando gli occhi in giro ad ispezionare l’imprevedibile che ora è sulla mia strada.

Piano, molto piano sento che ad ogni passo qualcosa si stacca dai pensieri, la leggerezza diventa un peso notevole da portare, ma dalla mia parte hoquestocazzodisorriso che non uguali e riempie di un orgoglio infinito tutto il mio corpo, la mia anima.

In tutto questo trambusto non ho contato quanti controlli ho dovuto affrontare prima di giungere al gate numero dodici, il piccolo zaino si è aperto cento volte e cento volte ho tolto la cintura dei pantaloni e cento volte ho mostrato il passaporto con incluso il biglietto...invece di liberare il mondo, lo chiudono ancora di più.

Cheesauriti!!!

Questa linea accompagna molti Arabi, ma è anche un primo passaggio verso l’India, la Cina, le Filippine, il Giappone, anche l’Australia, ma di Australiani non se ne vedono.

Sono incastrato tra un Arabo degli Emirati ed un Filippino, questo naturalmente non giova la mia posizione, assolutamente no, ristringe notevolmente i miei movimenti, mamifaccioforza, mi faccio molta forza, anzi è talmente tanta che credo di averla presa in prestito da qualcuno.

Sono sempre più convinto che tutto è già collegato e il contenitore che abbiamo dentro è preparato e sempre pronto per rispondere a ciò che sentiamo, a cosa dobbiamo esternare, anche se è con lui chedobbiamofareiconti.

Mi sento libero, non ho nulla che ostacola il pensiero, anche se sono chiuso in questo grande involucro e che in tutte queste poltrone non c’è nemmeno un Italiano e tutti parlano senza che io capisca una sola parola, ma continuo a sorridere e godermi questo meraviglioso momento…chefigata…sono completamente solo.

 

 

Tutto bello…veramente tutto molto bello!!! Ma praticamente non sei ancora partito e già parli di leggerezza, di libertà…sei preso da quello che gira intorno in questo istante, e dimentichi la grande vastità degli imprevisti, quello che improvvisamente il fisico e la mente possono trasformare e traghettare nell’immenso vortice della confusione.

Aspettiamo che l’aereo si alzi e che le ore prendano consistenza e poi ne parliamo…

Non hai la poltrona esterna…nonpotraimuoverti…e quando dovrai alzarti per le tue fisime abituali…come farai?

Stare così all’interno a volte è pazzesco, io chiuso qua dentro aspetto con assoluta curiosità la tua evoluzione nella vita che cambia in ogni momento…è proprio un bel divertimento!!!

 

 

Facciamo i primi metri sulla pista, a volte sembra così strano che un mezzo tanto imponente possa percorrere con una certa leggerezza la strada, come se fosse una comunissima automobile…

Provo ad ascoltare il mio corpo, percepisco i battiti che corrono veloci, le mani che sudano e che sono incastrato tra due esseri che non conosco, che non ci posso parlare, a cui non potrò chiedere assolutamente nulla.

Un bel respiro mi stacca dal suolo, sono inclinato all’indietro…ormai non posso più voltarmi, alle mie spalle ho Roma che si allontana sempre più.

La prima cosa che faccio è quella di togliermi le scarpe e nonmifreganienteseipiedipuzzano…perché in fin dei conti non mi puzzano, è la gomma delle scarpe che impregna i calzini e quindi la pelle. Il Filippino ha degli scarponi da montagna, spero che non li tolga. L’Arabo ha un telefonino super, di quelli che ci fai un po’ di tutto, infatti ora lo usa per la musica e per i giochi di calcio…chissàcosadirannodime!

Credo che in questi ultimi due anni il lavoro svolto su me stesso sia stato davvero incredibile, ho affrontato molti ostacoli che per anni sono apparsi insormontabili. Di questo ne ho ora la certezza, sento una sicurezza che prima d’ora non avevo ancora provato, ogni cosa scorre e gli occhi che oltrepassano queste finestrelle si accorgono che fuori è scesa la notte e tutto si è uniformato.

Ho messo i quaderni da viaggio, il libro e le cuffiette per la musica nella tasca davanti alle mie gambe, ma percepisco che li userò, voglio godermi per intero questa avventura.

Lascio cadere ogni pensiero, seguo le fasi del Reiki tutto mi corre incontro, il corpo ora grande contenitore, assorbe e trattiene, sputando all’esterno enormi sorrisi…quisimangiasempre. Ah questi Arabi!

 

 

Ti ricordi nei vari sogni che hai fatto, quel discorso di essere solo nel bel mezzo del viaggio, quando non sei né da una parte, né dall’altra e quindi e allora tutta l’angoscia arriva direttamente allo stomaco togliendo il respiro? bè io li ricordo bene, diciamo perfettamente e tra un po’ vivremo quello che sino ad ora è stato solo nell’immaginazione, appena scenderai da questo primo aereo tutto tornerà alla mente e vorrò ascoltarti in quello spazio dove i minuti si trasformano in tempi infiniti…ma cosa hai detto all’Arabo sul giornale che sta leggendo alla pagina sportiva?...faridereancheme!!!

IV puntata "Io e l'Africa o l'Africa ed io?"

Clicca sulla foto per ingrandire.
Clicca sulla foto per ingrandire.

Sisisisisisiparteeeee!!! In sessantasecondisessanta sono in Via Cortina D’Ampezzo nell’ambasciata Tanzaniana…e già mi sembra di annusare l’Africa.

Sisisisisisiparteeeee!!! In novantesecondinovanta sono davanti allo sportello di cambio in Corso Vittorio per trasformare alcuni euro in dollari…concuinonnefaròpropriounbelnulla.

Sisisisisisiparteeeee!!! In un secondouno gli zaini sono pronti…praticamente dentro non c’è nulla se non cose da portare e poi lasciare al Villaggio.

Sisisisisisiparteeeee!!! In zerosecondizero tutto si fa buio intorno a me, i pensieri africani si spengono, sale improvvisamente l’ansia di essermi accorto di essere solo a partire…sonosoloapartiresoloapartiresoloebasta.

 

 Finalmente pizzicato…eccolo il mio caro viaggiatore, adesso che l’euforia della preparazione è finita, devi fare i conti con le tue paure, con le tue ansie, con la fobia di perdersi nel mondo, con il non sapere l’inglese…ahahahahahdimenticavo hai quelle parole striminzite che ti ha scritto Laura e che tu naturalmente non hai capito nemmeno da quale verso si leggono…ahahahahahahindietronontorni, hai pagato il biglietto in trentasecondi, hai preso il visto annusando l’Africa in sessantasecondi, e preparato quei quattro stracci in un secondo…ma in zerosecondi tutto cambiaahahahahahah…

 

                                                       IL VIAGGIO



Tutto si è susseguito con una facilità e naturalezza che non mi ha fatto rendere conto che per questo viaggio non ho vicino DoloresoLuisa e tanto meno ClaudioeLuciano ma sono solo, forse vicino avrò un cinese oppure un filippino chissà.

Metabolizzo di essere solo per questo lungo viaggio. Manonsonotranquillo.

Gli zaini sono sempre in camera da letto, tutto è stato preparato con fretta…forsetroppa…sempretroppa. Questafrettaèsempretroppa.

Sono letteralmente assalito dai più strani pensieri e dalle più improbabili domande. Ora si può dire che parto definitivamente, questa opportunità potrebbe aprire grandi porte o chiuderle per sempre. Penso all’aereo al tempo che devo stare chiuso in quella scatola di ferro…allora cosa faccio: mi leggo e rileggo le parole sul quaderno in inglese, provo ancora ad ascoltare la voce di Laura che pronuncia in una maniera alla quale io per questa vita non potrò nemmeno avvicinarmi a questa lingua così universale.

La data della partenza si avvicina sempre di più, e stranamente io mi sento pronto, non tranquillo, ma pronto, ho voglia di andare e misurare ancora una volta la mia mente. La curiosità di sapermi li da solo mi elettrizza e nello stesso tempo mi fa cacaresotto…ma cosa vuoi che accada e poi se proprio dovesse essere il mio ultimo viaggio, che aspettarsi di meglio per una fine con gli occhi verso la TerradelleTerre.

VadoaprendereibigliettidaLia.

Scambio parole utili e solide, mentre immagino il mio comportamento nell’aeroporto, senza Anto che pensa un po’ a tutto.

Prendo tra le mani i fogli di carta con sopra scritto orari e destinazioni, mentre guardo ma non leggo, sorrido, sorrido ancora che quasi mi viene da ridere…anzisaichefaccio? Ridoridoridorido…

Èquasituttopronto: passaporto, biglietti, zaini, e la mia immancabile maglietta da viaggio…quale? Quella che mi accompagna ogni volta che salgo su un aereo, quella di Juan, la stessa dal duemilasei…semprelastessa un po’ più scolorita ma semprelastessa. Quanto la sento mia questa maglia, dopo avermi fatto compagnia sulla pelle quasi sempre sudata durante IlCaminoDeSantiago è divenuta una seconda pelle, è come se avessi una forza protettiva che traghetta ogni volta il mio corpo. Mi piace quando cercano di leggerla, con tutti i suoi errori nella dicitura, per non parlare di quando incontro gli spagnoli che provano a leggere…senzacapirciunbelniente! Èsemprelastessamaglietta un po’ scoloritamasemprelastessa. a memipiace. A memifasentirebene. A memifatantacompagnia. A memi…

 

 

Ma quanta voglia ho di vederti li da solo, di ascoltare tutta l’ansia che morderà inesorabilmente le pareti della tua pancia, e saperti in movimenti contorti in tutte le tue smorfie.

Io sono la voce che non da tregua, sono la parte che nessuno mai vorrebbe avere, sono il riflesso in quello specchio difficile da mettere di fronte ai propri occhi, iosonotuttoquellocheognicorpocrededigestire, ma che alla fine viene piegato dalla continua forza che non è altro che lo stesso nostro corpo.

 

 

Guardo gli zaini e la mia maniacale precisione mi porta ancora una volta a controllare tutto ciò che potrebbe ma che sicuramente non manca, a spremere per bene le meningi cercando nei cassetti ancora qualcosa da infilare dentro le piccole tasche, ormai rigonfie mettendo a dura prova le lampo.

DomanipartoAntomiaccompagnaalLeonardodaVinci.

Come un matto preparo lamagliadiJuan, icalziniprestatidaEsterina, ilfoulardconilprofumodiAnto, credo che nella riga sopra ho sbagliato a dire: “comeunmatto” ma avrei dovuto scrivere: “sonomatto” ecco adesso l’ho scritto. Macchecipossofare queste sono le cose per cui vivo, per sentire quanto amore c’è nelle persone, sapere in qualche modo che alcuni passaggi accadono perché è la nostra natura a chiamarli.

DomanipartoAntomiaccompagnaalLeonardodaVinci.

Tra un po’ vado a dormire e domani un qualcosa di così insolito farà cambiare il mio atteggiamento, avrò sicuramente un altro battito da ascoltare, e le mani si faranno bianche, e la cintura dei pantaloni si percepirà più stretta anche se sta comunque nello stesso buco.

 

Stocercandounafrasediunacanzonedascrivere.

 

Eccola:

E’ solo un uomo quello di cui scrivo.

La notte prima di un lungo viaggio.

Quando non sa se poi partire è solo partire o anche scappare.

NiccoloFabiSolounUomo.

 

E così anche io non so se alla fine vado per scappare da qualcosa che non conosco, o solo per partire e provare la sensazione che un uomo si può veramente perdere nel mondo…unuomosipuòperderenelmondo!!!

Ho salutato un sacco di persone, tante facce, tanti sorrisi, passando dalla CurvaSud che mi dice di portare poi le foto, aiMieiGenitori che non riescono a capire il perché vado in un luogo dove non c’è divertimento, alTurnodiVolontariato che apprezza e si responsabilizza ancora un po’ durante la mia assenza, aiBambinidellaCasa così ignari e puri da non capire quanta strada ci dividerà e poi gliOcchidiAnto che già mi parla di organizzare il rientro a Roma.

Adesso provo a chiudere i miei occhi.

DomanipartoAntomiaccompagnaalLeonardodaVinci.

 

 

Nonvedipropriocomesei. Non sei capace di staccarti nemmeno un centimetro dalle tue radici. Hai la maniacalità di portare mille cose, di avere per forza gli zaini gonfi. Nonvedipropriocomesei. Hai un disperato ed impellente bisogno di occhi, non hai un punto fermo, sei senza equilibrio e cerchi negli oggetti quel barlume di vicinanza a cui non puoi sottrarti. Nonvedipropriocomesei. Ma come farai a partire a fermare il tutto per quasi ventiquattrore, senza parlare, senza distrazione, senza qualcuno da toccare…senza nessuno, solocontestesso e sarai costretto ancora una volta a scendere ancora un pò nel tuo corpo dove nessuno passa, dove nessuno può ascoltarti…proprio come hai scritto qualche tempo fa. Nonvedipropriocomesei.

Eccocosahaiscritto:

 

Dal libro “Vorrei. Forse. Niente” anno duemilanove.

Provo a scendere ancora una volta nel buio del mio corpo, c’è un’altra rampa di scale da fare, sento quella voce chiamare incessantemente, la voglia il desiderio di scoprirla è troppo invadente nella mia curiosità, un qualcuno l’ha messa in movimento consono di trovare terreno fertile, ed io afferro volentieri questo tipo di sfida scendendo ancora un po’, bagnandomi i piedi di un liquido senza sostanza ma con una chiara e limpida fluidità, scendo senza avere la realtà davanti agli occhi, la voce, è solo la voce che continua a fare il mio nome, mettendo il cuore su una destinazione incerta tutta da scoprire, continuo a scendere sfidando questa oscurità che toglie l’orientamento e stringe alla gola facendomi respirare a fatica, mi chiedo per quanto tempo dovrò farlo prima di iniziare a risalire verso quella luce che da molto tempo vado cercando, scendo e non mi fermo anche perché sento che quella parte di soluzione è davvero vicina e amica, aspetto immobile, vedo passare tante ombre, ma aspettare chi e perché, aspettare qualcuno che non verrà mai sino a queste profondità, aspetto e continuo ad aspettare sapendo che nessuno passerà su questa scia. Scendo e aspetto.

 

Ti consiglio di rileggerlo bene questo piccolo testo perché tra non molto si trasformerà proprio in quella realtà che vai cercando…BuonViaggio.

III puntata "Io e l'Africa o l'Africa ed io?"

Clicca sulla foto per ingrandire
Clicca sulla foto per ingrandire

In effetti ci penso molto al mio cambiamento, ma i piatti della bilancia non sono mai stati così distanti come ora. E’ vero che non ho più quella disponibilità nelle decisioni e che devo confrontarmi con altri prima di poter prendere una strada, ma è altrettanto vero che in una testa come la mia poi alla fine la soluzione c’è sempre.

A questo proposito vorrei trascrivere delle righe lette in uno dei libri citati sopra.

Illibrosintitola“Mondoviaterra”di“EddyCattaneo” e dice così:

 

Mi licenzio, mollo tutto.

Sono entrato dal presidente, mi sono seduto sulla poltrona e ho aspettato che si allacciasse le mani dietro la nuca.

“Dimmi”

“Vorrei prendere un periodo di aspettativa”

“Come mai? Stai male? Qualcuno in famiglia?”

“No, no. Mi serve per un’altra ragione.”

“Per cosa?”

“Voglio fare il giro del mondo via terra, senza mai prendere aerei.”

“Ah.”

Esco con la strana sensazione che non otterrò nulla.

Il giorno dopo la mia richiesta non viene accettata…mi licenzio e parto.

 

Come si può leggere, le soluzioni esistono sempre, e queste non sono stronzate, non sono righe messe sul foglio bianco tanto per riempire, sono storie reali di uomini/donne che hanno pensieri particolari nella testa, che quando scatta la molla non c’è ragione, non c’è nessuno che possa trattenere…alla fine la soluzione c’è!

 

 

Cosa scrivi, madonna che film che fai, prima dici che non hai rimpianti per le tue scelte, poi invece parli dei piatti della bilancia, di confronti e di estreme decisioni…allora decidi da quale parte stare.

Non sono convinto sento che qualcosa non è proprio al punto giusto, forse i soldi, i sentimenti, la tua stessa paura. Insomma tutto questo mi fa sorridere perché continuo a guardare la tua enfasi…ma come sempre purtroppo fai icontisenzaloste, ti fai coinvolgere dal tuo stato d’animo e così non vedi più nessuno…meno male che tra qualche giorno parlerai d’altro e tutto ciò sarà solo un ricordo.

 

 

Il colloquio lo faccio verso le dieci del mattino, dopo aver fatto un punto sulla mia situazione lavorativa con S.e.M. nella sala della segreteria, passo direttamente alla domanda: mi servirebbe un periodo di tempo per andare a lavorare nella missione in Africa, dove si stanno eseguendo delle modifiche sia per quanto riguarda la parte degli animali domestici che sulle abitazioni dei bambini.

Certo non hanno fatto salti di gioia dopo le mie parole, dicendo che l’estate è terminata da poco e che questo potrebbe creare un precedente con gli altri operatori e non sono sicuri di potermi accontentare.

Naturalmente ho bello e pronto il famigerato “piano B” che è quello delle ore accumulate durante i mesi precedenti e quindi non avrei proprio bisogno delle ferie ma solo di recuperi.

Si deve aspettare.

 

 

Cerchi di salire sugli specchi caro mio…non è così che si devono fare le cose, tutto ha un tempo, e non puoi mettere in crisi gli altri per i tuoi impellenti bisogni di partire.

Certo che sei strano, vuoi partire così all’improvviso, ma perché poi questo non si capisce. Tu non stai bene con la testa, hai qualcosa che sicuramente non gira per il verso giusto. Sei pieno di ansie, di paure e vuoi partire lo stesso, ma…una curettapreventiva prima di prendere certe decisioni…no?

 

 

Non possono dirmi di no, di questo ne sono certo, e quindi io continuo ad organizzare il tutto.

Ho sentito GiacomodallaSvizzera, lui parte tra pochi giorni ed attenderà il mio arrivo…forse.

Intanto io vado a perdermi nelle mani di Annaconunbelreiki, e mentre mando ogni mio pensiero tra soffici nuvole di ovatta, i miei muscoli si abbandonano e parole escono dalla bocca per formare lunghi arcobaleni che in qualche maniera già proiettano il corpo in quella terra così calda, così accogliente.

Come al solito non aspetto la risposta, forse è proprio una mia prerogativa comportarmi così, io già sono a Mbweni, scalzo senza nulla nelle tasche, ma con un bel gran sorriso.

 

 

Allora facciamo due calcoli: in poche parole da quanto ho capito, tu saresti già partito?

Io dico si che sei proprio partito, da un bel pezzo che lo sei…ma di testa!!! Non hai ancora nulla tra le mani e ti senti già in Africa, se vuoi posso farti un piccolo elenco.

Bè vediamo: per esempio non hai il biglietto aereo, mi sembra che anche con il visto non sei a buon punto. Parliamo del lavoro; non ti hanno dato ancora nessuna risposta, ma tu hai già deciso anche per loro, e poi non devi aspettare di andare in Africa per avere le tasche vuote, perché a quanto pare le hai pure qui a Roma!

A me sembra proprio un azzardo questa partenza e magari aspettando solo un po’ potresti organizzare un viaggio migliore…peccato perché tu hai quel maledetto istinto vorace che ti guida e non ti fa vedere altro di cosa hai nella mente oggi.

Peccato…

 

 

Quanti giorni passano, sembra di vederli su binari dritti ed infiniti dove non c’è resistenza, dove tutto scivola più velocemente facendoli apparire troppi, allora, è il caso forse che torni io da loro, per chiedere cosa hanno deciso, almeno per sapere.

Potrei mandare un messaggio, magari una mail che è più consistente.

È meglio aspettare…si è meglio…forse!

Ho mandato proprio orasubitoimmediatamente una mail a M.

Faccio un altro incontro con A. e la mente, i muscoli, i nervi sono in tensione, non riesco a sentire la fluidità che serve per avere almeno una parvenza di lucidità.

La mia mente continua a formare tanti cerchi che si incastrano tra loro per acquietare i pensieri che non sono oscuri, hanno bei colori e questo mi fa sorridere, sento che sono sulla giusta strada e che questo è il momento per andare.

Chissà come sarà ora il Villaggio e quante cose saranno cambiate e quanti sorrisi correranno verso il mio apparire su quella strada polverosa e calda.

 

 

Io che sono all’interno mi rendo sempre più conto di essere capitato proprio male, all’inizio mi sono detto: vedrai che poi con il tempo cambierà, si placherà, si distenderà…maddeche!!!

Questo è proprio un folle, non riesce a guardare mai la parte negativa delle cose…o meglio la guarda e come, ma poi come un caprone si intestardisce e deve arrivare per forza dove la sua mente in quel momento iniziale ha poggiato l’immaginazione.

Cerco continuamente di farmi ascoltare, di imprimere una certa dissolvenza ai pensieri, ma è inutile, non vuole sentire ragioni.

Affronta discorsi complicati da solo e la sua forza mette in difficoltà qualsiasi confronto.

La sua autostima è sempre più alta e l’orgoglio lo porta ad assumersi qualsiasi responsabilità…bellaobruttachessia!

Incredibile…

II puntata "Io e l'Africa o l'Africa ed io?"

Pensa e Ripensa.

 

Quasiquasiparto, vado a salutare il mio angolo africano, a prendermi un po’ di caldo umido, tanto per sudare un po’ e stare da solo, per sentire da vicino la solitudine e capire alcuni pensieri che proprio non ne vogliono sapere di uscire fuori.

  

Dai Maurizio non dire cazzate, c’è la scuola dei bambini al mattino, i soldi da mettere da parte per l’ennesima rata del mutuo, non credo sia questo il momento più appropriato per partire.

 

Posso fare due conti e capire bene quanta disponibilità ho e quanto mi serve per andare.

Mi collego alla compagnia di volo araba e con poco meno di seicentoeuro posso avere una bella poltrona sia per l’andata che per il ritorno. Diciamo poi che trecentoeuro circa servono per mangiare dormire ed evacuare…e così la prima somma fa novecento.

Certo qualcosa per stare li dovrò portarmi e allora due pensieri vanno direttamente a qualche gita, due cosine da comprare, un paio, diciamo quattro…io farei anche sei, ma sicuramente saranno diecidodici pasti fuori e allora il conto sale intorno ai milleduecentoeuro.

Non è poco…macelapossofare!

 

 

Forse non ti rendi conto, sei il solito frettoloso, ti sei dimenticato di quanto ammonta la tua busta paga, e la quota fissa che devi togliere per pagare quello che precedentemente ti sei voluto comperare…a mio avviso ora non è proprio il momento e poi non è detto che ti diano le ferie...sai perfettamente la situazione della cooperativa e di quanto sia importante il tuo aiuto…dammi retta lascia stare, rimanda, magari ti vedi qualche fotografia e così la fissa ti passa. Dammi retta!

 

Si milleduecento euro posso racimolarli…vediamo come…ehm, ehm, ehm!!!

Ci sono: intanto apro il mio salvadanaio e sbircio il totale…oh è un salvadanaio serio solo pezzi da uneuroedueuro, mica cose così, tanto per fare due spicci.

Ammazza un bel seicentino, proprio quello che serve per il biglietto aereo…eddai che si può fare!

Domani parlo direttamente con M. e S. per stabilire il periodo più adeguato per partire…spero non mi dicano di no.

 

Ahahahahaha…mi fai proprio ridere, ma dove vai, ma dove prendi gli altri seicento e ti sei dimenticato il visto, vogliono cinquantaeuro all’ambasciata e poi qualche vaccino, la profilassi per la malaria; sessantaeuro a scatola…ahahahahaaha!!! Quanto mi fai ridere. Per non parlare dei medicinali che devi comprare, e se poi anche questa volta c’è la scabbia allora si che rido di cuore perché dovresti prendere anche la pomata…altri soldi da aggiungere e con quel “seicentino” come lo chiami tu non ci arrivi nemmeno a Fiumicino…ihihihihihi!!!

 

Cavolo come frullano i pensieri, tutto si dirige verso quelle letture fatte di viaggi infiniti, senza che il tempo impressioni come sempre. Guardare solo la parte della distanza e mai quella della lontananza, entrare prepotentemente nelle righe che qualcuno ha già scritto solo per il piacere di raccontare, inconsapevole che avrebbe potuto trasmettere forti sensazioni.

Ho in mano il foglio delle ore lavorative e certo che in quest’estate ne ho fatti di chilometri, il pulmino era diventato quasi la mia casa, a volte ho poggiato il culo alle 6,30 del mattino per toglierlo alla sera quando il sole ancora alto inganna sull’orario e la strada appare come un bel sentiero dove si può tranquillamente ascoltare la natura.

Che bello quel periodo, eh si l’estate è proprio bella. Il sole già enorme alle sei del mattino, la bottiglia d’acqua da non dimenticare perché è necessaria nel proseguo della giornata e poi via sulla strada tra Roma e Terracina, tra Roma ed il Circeo e poi continuare sullo stesso versante del Mar Tirreno, spostandoci un po’ più a Nord, tra Roma e Tarquinia ed infinite gite nei dintorni della Capitale per collezionare ben cinquemilachilometri in due mesi, sempre con il sorriso e la schiena zuppa di sudore per il contatto con il sedile, sempre carico di passeggini, carrozzine e carrozzelle.

Un sorriso alimentato e contagiato da tutti i bambini che ogni santo giorno occupano i posti; un sorriso alimentato da noi adulti sempre con la carica giusta per affrontare delle responsabilità che nessuno ci ha imposte, ma che abbiamo trovato su questa strada…naturalmentesceltadanoi…equestoèmeraviglioso.

Faccio qualche addizione e poi qualche sottrazione per capire, per essere certo che poi il colloquio con chi dovrebbe darmi il consenso vada per il verso giusto…che strana la vita, sino a quarantacinqueanni non ho mai chiesto a nessuno il permesso per potermi spostare da un luogo…mentre ora devo chiedere ed aspettare una risposta, ecco che torna alla mente il “VorreiForseNiente” maquellaètutt’altrafaccenda.

Sono pronto per parlare.

 

Ma come parli bene, come riesci ad infilare decine di parole come fossero perline colorate, ma alla realtà, a quella non ci pensi?

La scuola non è terminata, anzi diciamo che è appena iniziata, e sicuramente non è che con i cinquemilachilometri estivi tutto si appiana, la vita continua i bambini ci sono per tutto l’anno e non sono tenuti a stare ai tuoi comodi, ai tuoi pensieri, ai tuoi turbamenti…ma ci hai pensato a tutto questo?

E poi toglimi una curiosità ma non eri tu che un po’ di anni fa dicevi che non avresti mai chiesto a nessuno come svolgere la tua vita, e tantomeno chiedere il permesso per allontanarsi?

Manoneritu?

Ah dimenticavo che ultimamente hai scritto un sacco di parole su questo “VorreiForseNiente” come se fosse la soluzione a tutti i problemi vitali…mah io ci penserei due volte prima di prendere una decisione di questo genere.

 

"Io e l'Africa o l'Africa ed io?" I puntata

Clicca sulla foto per ingrandire
Clicca sulla foto per ingrandire

INTRODUZIONE

 

Pensare e scrivere. Riflettere e capire. Ascoltare e osare.

Tutto appare quasi normale ma non è così, la mente prende lunghe pause, tempi indefiniti di stasi come se dovesse difendersi da troppo pensiero, e allora io mi preoccupo, faccio cadere nel vortice i movimenti senza dare più spazio al fisico e all’immobilità.

Inizio questo racconto dopo alcuni periodi particolari, dove il pensiero ha raschiato il suolo lasciandomi ancora una volta profonde cicatrici.

Come sempre sono le letture a spingermi verso la scrittura di nuovi racconti, come La magistrale Autobiografia di Nelson Mandela che ha sorpreso ogni mio pensiero, ponendo lo sguardo sulla resistenza dell’essere umano e sulla capacità nel dover raggiungere la meta.

Inoltre ho letto la storia di una congregazione religiosa senza l’obbligo dei voti o degli abiti, nata nel lontano millesettecento con donne coraggiosissime, che hanno affrontato ogni sorta di disagio per giungere in luoghi dimenticati da Dio.

Ho sfogliato e letto quattro, cinque volte il mio ultimo libro scoprendo che posso ancora dare molto agli altri, dividendo le pagine con una mia amica, con tanto di riflessioni finali. Sono entrato in ogni parola precedentemente pensata e scritta per capire il peso che un uomo porta costantemente sulle spalle.

Poi una sera a cena da Antonio, ho scovato un libro di viaggio nella sua libreria: un tipo che lascia il lavoro, la casa i familiari ed inizia a girare il mondo senza mai prendere l’aereo, nelle sue rughe emerge tutta l’ammirazione per la cultura, il cibo, mettendo sempre in primo piano l’uguaglianza dell’uomo in qualsiasi angolo del mondo.

Ecco queste sono le mie ultime letture, le quali hanno aiutato ed aiutano i miei pensieri ad elaborarsi ed uscire all’aria aperta, spargersi leggeri tra l’aria che si respira e poi tornare pregni di ossigeno da dove sono usciti pronti per essere toccati con gli occhi della mente.

Questo racconto naturalmente fa parte come sempre della mia vita, è un pensiero che gira da un po’ di tempo, è come dire: ora provo a scrivere quanto amore c’è in me per la terra africana.

Per chi ha letto i miei libri pressappoco già conosce la storia avendo incluso alcune pagine dei miei viaggi in Africa. Questa volta però è diverso vorrei provare a raccontare il mio ultimo viaggio verso quella terra, esprimermi in maniera dettagliata, cosa ho provato nel lasciare la mia casa, mia moglie, i bambini e gli amici. Vorrei riuscire a trasmettere cosa ho sentito quando ho poggiato i piedi nei trentacinque gradi di Dar es Salaam. Vorrei scrivere il mio cuore quando i piedi hanno alzato la polvere rossa del Villaggio e quando i sorrisi dei bambini sono venuti verso me.

 

Qualche riga per spiegare come sarà lo svolgimento di questo racconto.

Non ci saranno date a scandire il tempo tutto farà riferimento al sole, alla luna, al vento e alla pioggia.

Due voci interpreteranno il racconto: una quella del cuore che sale direttamente dall’anima e quindi la riflessione, i sensi di colpa, le lacrime, la paura, l’altra sarà quella esterna, quella che quando si apre la bocca esce il suono, la stessa che ti lascia andare e che ti fa dire masticazzi di quello che ho intorno, quella che ti fa preparare lo zaino in quattoequattrotto chiudere la porta e salutare.

Vorrei impostare tutto sulla nota della leggerezza, dell’ironia e raccontarmi per una volta nella parte più spiritosa che è in me…perché c’è in me una parte spiritosa!

 

Due righe per dire dove vado quando raggiungo l’Africa.

Ho conosciuto questa terra quarantatre mesi fa, in un viaggio di curiosità con un appuntamento a Zurigo con altre trenta persone. Dopo un viaggio infinito sono caduto in questo strano e magico posto situato nel sud-est dell’Africa in Tanzania, non in città, ma a circa cinquanta chilometri dalla capitale Dar es Salaam, in un piccolo Villaggio dal nome Mbweni, abitato da pescatori che non sanno nuotare, da case fatte con fango, cartoni, legni. Senza acqua. Senza fogne. Senza luce.

La missione è quella del Villaggio della Gioia messa in piedi da un Padre Passionista di Bergamo che ha messo in strada tutte le sue forze per aiutare i bambini orfani di genitori e familiari affetti dalla piaga dell’AIDS.

Un luogo dove il caldo umido ti sfinisce, dove zanzare affamate al mattino e assatanate la sera portano gratis la malaria, dove il sole di mezzogiorno lo puoi vedere solo se hai messo un autoscatto alla macchina fotografica, dove l’acqua dell’Oceano Indiano ti fa venire mille bolle, dove l’acqua che si beve non disseta, il cibo che mangi è sempre lo stesso e dove si lavora veramente tanto…ma lo sai che li a due passi c’è un isola che si chiama Zanzibar?

 

Per la seconda puntata appuntamento a lunedì 10 settembre...sempre qui!!!

"IO E L'AFRICA 0 L'AFRICA E IO?" (di Lorenzoni Maurizio)

 

Questo è il titolo del libro che sarà inserito, un racconto che spiega cosa c'è dietro un volontariato in Africa e quante emozioni si possono esaminare e vivere.

Da lunedì 3 settembre e per ogni lunedì su questa pagina un libro a puntate per condividere l'Africa.